Secondo un’indagine effettuata da business strategies, i prodotti italiani sono ancora ben poco conosciuti dai consumatori cinesi. Nonostante l’aumento delle esportazioni negli ultimi anni ( vedere un po’ i numeri) resta difficile per l’upper class cinese associare vino, pizza, pasta al Bel Paese. Il risultato dei sondaggi e’ molto interessante e diverge con l’idea di numerosi fornitori che da diversi anni vengono in Cina per ampliare il loro mercato.

Nella mia esperienza da interprete ho visto tantissime aziende arrivare in Cina e non tornare piu’. Pochissime sono riuscite ad inserirsi all’interno del tessuto commerciale cinese e costruito dei rapporti di cooperazione duraturi. La logica di moltissime societa’ italiane che intraprendono il viaggio in Cina e’ quello di commercializzare puramente il loro prodotto trovando un importatore o un distributore che compri. Partecipando ad una fiera o ad eventi B2B vorrebbero imbattersi in un investitore che si carichi in magazzino la merce.
La straordinaria crescita economica della Cina negli ultimi anni ha alimentato il mito del cinese pieno di soldi che spende con ignoranza ma sappiamo che per gli imprenditori ogni minima uscita corrisponde ad un dato profitto sul lungo termine e senza un business planning con prospettive allettanti sono cauti a mettere le mani in tasca.

In un paese che conta piu’ di 1 miliardo di consumatori e in cui la varieta’ di prodotti importati e’ ampia non e’ piu’ sufficiente la sola etichetta “made in Italy”, soprattutto quando quest’ultimo non equivale a sinonimo di qualita’ alle orecchie dei cinesi.
Nella mia esperienza ho conosciuto fornitori di divani, di borse, di design, di vini, di bambole, di caffe’ ecc. che nelle loro trattative risaltavano l’origine e l’artigianalita’ del prodotto come del resto facevano tutti gli altri loro competitor. Ho sempre avuto la sensazione che i fornitori aspettassero di vendere i prodotti in un batter d’occhio semplicemente perche’ erano targati made in Italy.
Nelle numerose trattative a cui ho partecipato nel corso degli anni ho capito che il prodotto di per se’ non ha valore ( naturalmente parliamo di campi non altamente specializzati), in primis, vengono valutate le persone, entrano in gioco quel misto di sensazioni di simpatia a pelle, fiducia, empatia, poi la capacita’ aziendale e per ultimo il prodotto. Tutti approdano con l’aspettativa di portare a casa grandi ordini, fatturati milionari ma, il piu’ delle volte, rientrano in Italia disillusi.
Tanti, in quest’internazionalizzazione del mercato si perdono, e rinunciano dopo vari tentativi, un po’ per mancanza di fondi, un po’ per l’incapacita’ di rispondere alle esigenze di mercato.

Credo che spesso si dimentichi le cose basilari, ovvero instaurare un rapporto con l’altro, capirne le necessita’ e le richieste, comunicare la storia e la cultura aziendale, il valore del prodotto e come potrebbe essere adattato o abbinato.

Il made in Italy oltre ad indicare la qualita’ intrinseca del prodotto rievoca uno stile di vita, la passione per le cose belle. Ed e’ proprio quest’insieme di valori che fanno la differenza suscitando un’insieme di emozioni che ci spingono a scegliere un prodotto piuttosto che un altro. Il mercato cinese offre opportunita’ a quelli che sono preparati e perseveranti, flessibili e dinamici.
 
 
To be continued….(prossima settimana continua l’articolo sullo stesso argomento)

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